I Disturbi da Sintomi Somatici secondo l’ottica cognitivo-comportamentale.
Secondo l’approccio cognitivo comportamentale, il Disturbo da Sintomi Somatici è il risultato del modo del modo in cui il soggetto elabora le sensazioni corporee, in base alle proprie cognizioni ed esperienze passate e al conseguente comportamento che viene adottato. Sembrerebbe dunque, che i fattori psicologici e i sintomi somatici siano causati etiologicamente dai fattori psichici, e che tale associazione porti il soggetto a cercare una consultazione medica perché non riesce a trovare una causa e un significato del suo malessere fisico a livello cognitivo. Sembrerebbe che i pensieri cognitivi generino determinati “stili attributivi”, ovvero processi attraverso i quali il soggetto ritiene che alcuni fattori siano la causa della propria condizione, definiti come un riflesso di schemi mentali latenti utilizzati per interpretare, definire ed esprimere nuove sensazioni fisiche ed emotive. Le attribuzioni pre-esistenti suggeriscono in tal caso una serie di ipotesi circa la probabile origine dei nuovi sintomi, il nome che dovrebbe essere loro attribuito e il vocabolario per descriverli sotto l’aspetto medico. Gli “stili attributivi” sono di tre tipi: 1) Ambientale: quando il soggetto ritiene che il suo malessere è dovuto a cause infettive o alimentari; stile più comune nella popolazione generale (ad esempio: pensiamo di aver mangiato qualcosa e stiamo male); 2) Somatico: quando il soggetto ritiene che il proprio malessere sia causato da una malattia o da qualche predisposizione alla malattia; 3) Psicologico: quando il soggetto ritiene che il disturbo sia l’espressione di stress o causato da fattori emotivi. Lo stile somatico è il più diffuso nei pazienti con disturbo somatico ed influenza, in un circolo vizioso, la percezione degli stimoli corporei, aumentando l’attenzione selettiva del soggetto. Ad oggi, in generale, ciò che viene trattato è il disturbo psicologico che accompagna il disturbo somatico, ad esempio i tratti ossessivi disfunzionali di un paziente somatico o l’ideazione disfunzionale di un paziente ipocondriaco. Il modello terapeutico si basa quindi sulla classica doppia componente: di tipo comportamentale (in cui l’intervento tende alla modificazione della risposta e all’esposizione degli stimoli) e di tipo cognitivo (dove si mira alla modificazione delle risposte cognitive ed emozionali che generano disagio e malessere). Lo strumento fondamentale, specialmente in età evolutiva, resta la ristrutturazione cognitiva, ossia la riattribuzione del significato delle esperienze e del modo di pensare a sé e ai propri sintomi. A differenza dell’approccio psicodinamico, il trattamento cognitivo comportamentale vede la genesi del disturbo psicosomatico a “valle”, originato cioè dal modo di pensare e di comportarsi in seguito di una particolare sensazione somatica o vissuto di malattia, e non a “monte” come gli autori psicodinamici che sostengono che la causa si ritrovi nei processi di simbolizzazione e di elaborazione degli affetti. Per questo motivo la psicoterapia cognitivo-comportamentale è fortemente centrata sulla modificazione dei pensieri e dei comportamenti attuali. Nello specifico, fra le tecniche più adoperate in età evolutiva ci sono il diario per l’identificazione dei pensieri automatici o irrazionali, il training assertivo finalizzato all’adozione di un locus of control interno invece che esterno, la prevenzione della risposta disfunzionale per la correzione del comportamento, il problem solving per l’esplorazione delle alternative possibili rispetto a gli schemi cognitivi patogeni. Sul versante comportamentale o di mediazione corporea, vengono utilizzate tecniche di biofeedback allo scopo di potenziare la capacità di autocontrollo volontario di specifiche funzioni fisiologiche, training autogeno e tecniche per l’induzione del rilassamento fisico e mentale. Con l’adolescente e il giovane adulto si potrà lavorare cercando di intervenire sui sistemi di significato relativi alla condizione patologica del paziente. Bisognerà aiutarlo a comprendere il proprio modo di funzionare implementando la capacità di riconoscimento e differenziazione delle perturbazioni emotive, permettendogli così una maggiore e più adattiva integrazione delle sensazioni nei propri sistemi cognitivi e di significato personale. Infatti, il raggiungimento da parte del paziente di una comprensione più articolata ed esaustiva del proprio funzionamento gli permetterà di riferire a sé le sensazioni e di ordinarle nel proprio senso di continuità e unicità personale (Guidano,1992) e non all’esterno, attraverso stili attributivi giustificativi. Una volto resi consapevoli emozioni e bisogni, i pazienti saranno in grado di riflettere su se stessi e il loro mondo e di strutturare un diverso sistema di organizzazione della conoscenza, capace di integrare in modo maggiormente adattivo le emozioni, i significati e le risposte comportamentali.